Non a tutti piacciono gli arbusti.
Sara Gavazzi
Dietro ad un angolo di Madrid, nascosto tra il Museo del Prado e il Reina Sofia, si svela un gioco insolito.
Il prospetto lungo la via, prevalentemente grigio, fortemente squadrato ed ordinato, si fa verde, marrone, lilla, rosa e giallo, mosso e vivo, diviene giardino. La parete alta 24 m è stata completamente rivestita dal biologo francese Patrick Blanc. Egli progetta un giardino verticale ad introduzione del Caixa Forum, galleria d’arte contemporanea opera degli architetti svizzeri Herzog e de Meuron. Quest’ultimo, grande esempio di architettura industriale, nasce nel 2001 dalla ristrutturazione e dallo straordinario sollevamento di una vecchia centrale elettrica. I mattoni del XIXº secolo, infatti, sono stati rialzati su pilastri creando un passaggio fruibile da tutta la comunità. All'improvviso, passeggiando tra le vie più turistiche della città si finisce dunque in un lotto sottosopra, dove i giardini sono verticali e gli edifici coerentemente fluttuano. Un’operazione particolare che richiama in minima scala le attuali tendenze umane che puntano a staccarsi dalla terra e volgere lo sguardo sempre più in alto. Le villette fanno spazio ai palazzi ed i palazzi vengono superati dai grattacieli. Non c’è limite se non il cielo, ci insegnano. La città vince sulla campagna, il costruito sull'inedificato, il pieno sul vuoto e così via in una spirale che va sempre più veloce. La terra appare sempre più lontana da noi ma ciò ci dimostra che non è affatto così. Questo espediente, che ad oggi non risulta affatto insolito, permette di avere un nuovo punto di vista sulla città e di creare, in un gioco di incastri sapienti, spazi verdi in aeree altamente edificate. In questo caso il muro vegetale, composto da circa 15000 piante di 250 specie diverse, si pone in continuum con i giardini del Paseo del Prado ed in contrasto con l’assetto grezzo e metallico del museo che affianca. Un semplice sistema in feltro e pvc che non colpisce solo a livello visivo ma anche e soprattutto a livello morale e salutare tutta la popolazione. Un grande gesto che può essere fatto in piccolo da ognuno di noi; guarda l’edera che avvolge la tua casa o il vaso sul terrazzo. Basta un fiore sul comodino per far entrare la natura in camera.
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Viviamo nell'automatismo:
ci svegliamo, guardiamo i social, guardiamo i social, guardiamo i social, andiamo a letto e guardiamo i social. Un gesto più frequente che consapevole. Un modo di vivere e di condividere. Ma cos'è la vera condivisione?! È un dono, è la necessità che garantisce la sopravvivenza del genere umano. "Dividere con l’altro" è dunque atto primario d’evoluzione. Ma allora qual è il problema? Non è ne' il Dividere ne' il Con, è l'Altro. Stiamo oramai da tempo attraversando un periodo di totale chiusura fisica e mentale che ci spoglia lentamente di qualsiasi morale. L’altro è lo sconosciuto, il vagabondo, lo straniero. Tutti oggetti che non ci danno una puntuale e precisa indicazione/identificazione. Ciò non ci deve spaventare. Eppure ci spaventa. La nostra eredità storica ci regala il concetto di Xenia, l'ospitalità. Nell’antica Grecia infatti, secondo tale regola etica, era inconcepibile domandare chi fosse l'estraneo prima di accoglierlo. Tutto questo in nome di un'apparenza o parvenza divina. Per un famoso poeta, non esisteva, secondo i Greci, l'ultimo degli uomini. L'uomo era sempre il primo, cioè divino. Siamo cresciuti con il mito di Odisseo, lo straniero per eccellenza, e ,ribadisco, eppure ci spaventa. Dalle persone conseguono le cose e viceversa. Durante la seconda guerra mondiale, raccontava l’Elia, che gli Americani facevano cadere dal cielo delle casse piene di “roba nera”; pensava fosse carbone e invece era tutt’altro, era una cosa a lei sconosciuta, era la cioccolata! E così vale anche per le piante. Vi sono specie straniere definite aliene, cattive, vietate, come la Robinia, l’Ailanthus, la Buddleja, ecc. Sono veramente pericolose o sono una risorsa? A fine ‘800 la vite americana utilizzata come portinnesto salvò i vigneti europei dalla fillossera. È un fatto storico certo. Con qualche seme di albero straniero di facile riproduzione, a contrastare le belle quanto fragili palme, gli abitanti dell’Isola di Pasqua si sarebbero comunque estinti? E noi cosa vogliamo fare? Ci accontentiamo di pensare che è carbone o scopriamo la cioccolata? Free space: spazio libero.
La 16esima Biennale d’architettura di Venezia, che si è chiusa qualche giorno fa, racconta tutto questo. Dico “tutto” perché le interpretazioni che si possono ottenere da tale tema sono infinite, sfumature soggettive che ognuno di noi si dipinge in testa. I diversi padiglioni, presso i giardini, hanno declinato a loro piacimento l’idea di free space. Inteso come spazio nuovo, vuoto, negato, ricostruito, ricavato, perso ed inimmaginabile, come momento di svago, come riflessione e valorizzazione, come unione tra uomini, tra ambienti e tra uomo e ambiente. Una scelta particolare è stata fatta da Lundén per l’installazione allestita all’interno del padiglione dei Paesi Nordici. Another generosity, è il suo nome. Another generosity è incontro e discussione su un nuovo tipo di generosità che non si concentra tanto sulle relazioni interpersonali quanto sullo scambio, che avviene o meno, tra uomo e ambiente. Più dettagliatamente l’allestimento si compone di “cellule”, strutture gonfiabili, in membrana trasparente, riempite di aria ed acqua, i due veri archetipi, ciò che di più semplice e naturale vi è. Le suddette, collegate con l’esterno tramite cavi dotati di sensori appositamente pensati, mutano in base a tutti gli stimoli ambientali che captano. Lo spettatore, alienato e incantato, noterà quindi movimenti, suoni e colori, tutti nati e scaturiti dall’ecosistema circostante. Sintesi misera di un progetto notevole, posto in una struttura altrettanto notevole progettata dell’architetto Sverre Fehn. La chiave di lettura è quella di rievocare un nuovo o ormai vecchissimo senso di umanità tramite una maggior consapevolezza dell’ambiente in generale, che esso sia Architettura o Natura. Alla fine natura e uomo diventano sinonimi , l’uno dipende dall’altra e viceversa. Cerchiamo di essere più generosi con ciò che ci circonda, con noi stessi. |
AutoreSara Gavazzi Categorie
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