Non a tutti piacciono gli arbusti.
Sara Gavazzi
“E la vita è così forte
che attraversa i muri per farsi vedere La vita è così vera che sembra impossibile doverla lasciare La vita è così grande che quando sarai sul punto di morire pianterai un ulivo convinto ancora di vederlo fiorire” scrive Vecchioni. Quanto sia grande il valore di questa pianta è difficilmente spiegabile. Sin dall’antichità l’olivo viene venerato per la sua essenzialità; secondo la mitologia fu il sacro dono che la dea Atena concesse all’umanità. Un dono in grado di generarne altri, un albero sempreverde forte e longevo che dà olive, che, a loro volta, danno olio. Un circolo di presenti che racchiude una famiglia, una società, una cultura. Mi è sempre stato insegnato l’amore per l’olivo e l’impegno che richiede la raccolta dei suoi frutti. Proprio quest’ultima ha sempre travolto i miei nonni come se fosse una grande festa. Da piccola mi chiedevo come facessero a paragonare una cosa così stancante al Natale, poi però sono cresciuta e ho visto. Ho visto il sacrificio che un uomo deve fare per campare, ho visto quanto sia facile sprecare per meri capricci, ho visto l’ingiustizia ma anche la cura e la dedizione, ho visto il tronco, le foglie, l’olive e l’olio, ho visto l’argento e l’oro. Ogni volta che mi immergo in un oliveto e rimango ammaliata dal bagliore argenteo, ogni volta che dal frantoio vedo tornare bottiglioni dorati, ogni volta capisco quanto questa tradizione sia preziosa e necessaria. Atena ci fece un dono, io quel dono lo rivedo nella mia famiglia che ride e bruca. L’olivo è la nostra storia, che ci rende lavoratori uniti e felici. Tutto ciò che dovremmo essere gli altri 11 mesi dell’anno Ha ragione Vecchioni, la vita è così forte, vera, grande.. e sogna, ragazzo, sogna!
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“Costruire è di per sé un atto sacro, è un'azione che trasforma una condizione di natura in una condizione di cultura” scrive Mario Botta.
Qualche tempo fa lessi questa frase e la rilessi, pensai e la rilessi ancora; oggi ci ripenso e la rileggo, la rileggo all'infinito e ogni volta cambio idea. Innesco in me una situazione quasi buffa in tutte le occasioni in cui mi ci imbatto o mi riaffiora in testa. Penso all'architettura in generale, a quello che mi suscita, a quanto poco ancora ne so, e, da lì, arrivo a pensare alla vita, al presente, al futuro e così via, entrando in un loop incredibile di turbe mentali che spero non affliggano solo me. Rimbalzo sempre tra le parole natura e cultura. Che legame hanno? Sono l'una conseguenza dell'altra? Mah, sì, boh, no. Lo devo ancora capire. Teoricamente, la natura è ciò che sta per nascere, tutto ciò che esiste ed è esistito, la cultura invece, dal verbo latino "colere", coltivare, è, per definizione, l’insieme di saperi, opinioni, tradizioni e comportamenti che caratterizzano un gruppo umano. Praticamente, c’è l'uva e la vendemmia, c’è un campo e un casolare, c’è un fiore e chi l'annaffia. È incredibile come una forma/uno spazio così semplice e puro possa inconsciamente creare qualcosa di fisico e sociale. Perché la vendemmia non è solo un mero atto lavorativo, è la comunione di una famiglia, e un casolare non è soltanto un manufatto edilizio, è vita. Dalla natura e per la natura sono scaturite una serie di tradizione e usi che ogni individuo e collettività ha fatto proprio. I nostri saperi nascono dalla natura e la natura vive grazie ai nostri saperi. È un immenso circolo che ci lega e che ci deve responsabilizzare nei confronti dell’ambiente in generale. Troppo spesso scindiamo natura e cultura, uomo e paesaggio e va a finire che i pesci sono fatti di plastica e la gente respira rifiuti tossici. Dalla definizione di spazio architettonico all'incongruenza umana che crea e distrugge c’è un bel volo pindarico, ma oggi è andata così. Oggi costruire e coltivare mi son sembrati sinonimi, domani chissà... d'altronde come si dice? Finché non tocca a te, non ti preoccupare, va tutto bene. |
AutoreSara Gavazzi Categorie
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